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La rabbia di un medico di base del varesotto: ”Lasciati soli abbiamo lavorato senza mezzi di protezione per salvare vite umane”

VARESE, 18 aprile 2020-Ci scrive un medico di base, una dottoressa residente in un paese del varesotto,  lanciando un grido di allarme esprimendo tutta la sua rabbia sul fatto di essere stati lasciati soli durante questa emergenza, mettendo a rischio sia la loro incolumitá che quella dei pazienti.

La dottoressa in questione-che a noi ha comunicato il suo nomitivo e il paese dove vive e opera professionalmente, preferendo non firmarsi per evitare possibili conseguenze-ci ha espresso la propria rabbia ora non piú contenibile.

Parlandoci telefomicamente, abbiamo capito ancora una volta la grande difficoltá e paura con la quale ogni giorno devono affrontare questa emergenza che solo in minima parte accenna a diminuire. La dottoressa ci h  spiegato come, soprattutto nelle prime fase della diffusione coronavirus, abbiano ricevuto dalla Regione pochissime mascherine (una decina) e nelle fasi succesive poco piú (una quindicina), mentre i camici (tre) da monouso sono diventati riciclabili visto che non ne possedevano altri. Non parliamo poi di altri accessori protettivi.

Le conseguenze di questa disorganizzazione sono sotto gli occhi di tutti, con un importante contributo di vite umane prorpio tra gli operatori sanitari, tra cui oltre 100 medici molti dei quali proprio medici di base.

LA LETTERA- «Il massacro della sanità pubblica in Lombardia è stato più veloce che in altre regioni. Le privatizzazioni e le chiusure di diversi ospedali pubblici, in alcuni casi di interi reparti, sono state le priorità di amministrazioni che non hanno mai avuto a cuore l’interesse comune, ma hanno messo in pratica la teoria del “privato è bello”. Una teoria che, in questo momento, si sta dimostrando fallimentare e sta svelando interessi nascosti ai più, ma ben noti a chi questa situazione l’ha seguita fin dai suoi esordi.

Gli 11.000 morti della Lombardia pesano come macigni sulla coscienza di chi, con protervia, ha propagandato la bontà di queste scelte! “L’epidemia si è allargata alla velocità della luce e a oggi sono morti 11 lombardi ogni 10 mila abitanti, contro i 6 dell’ Emilia Romagna e i 2 del Veneto. Dai dati dell’Istat e del ministero della Salute, emerge che a Milano stanno morendo quotidianamente 90 residenti contro i 30 dell’anno scorso, a Bergamo 21 contro 4, a Brescia 20 invece di 5”. Rianimazioni al collasso, mancanza di respiratori e dispositivi indispensabili per evitare il contagio! Senza alcuna strategia a medio – lungo termine, la Lombardia ha scelto di attrezzare un ospedale in Fiera, con 600 posti di terapia intensiva e un investimento di 21 milioni di euro! Qualche giorno fa i cittadini lombardi hanno scoperto che l’ospedale, pronto e attrezzato, “PER FORTUNA NON SERVE PIU’”.

Il nuoco ospedale di Milano Fiera

Questa affermazione dell’Assessore al Welfare della regione Lombardia, Giulio Gallera, la dice lunga. Possibile che nessuno sapesse che quegli spazi, una volta finiti, rischiavano di rimanere vuoti? Possibile che questa fosse l’unica soluzione per rispondere a questa emergenza? Possibile che nessuno abbia ipotizzato di risistemare alcuni reparti del vecchio ospedale di Legnano per riqualificare una struttura sanitaria difficilmente smantellabile? Forse più che fare una corsa ai posti letto, sarebbe stato più utile organizzare una rete di assistenza a casa, cioè delle squadre di medici in grado di intervenire immediatamente ai primi sintomi, magari a domicilio del paziente, eseguire il tampone ed evitare così che poi quello stesso malato finisse in ospedale, magari con un quadro clinico preoccupante.

Invece che cosa è accaduto? I medici di base, cruciali per intercettare un paziente all’inizio dei sintomi ed evitare così che potessero degenerare, sono stati messi nell’impossibilità di poter operare.

Nel corso degli anni sono stati addirittura “demansionati” e non più tardi di qualche mese fa, un politico conosciuto e, ironia della sorte, lombardo (Giancarlo Giorgetti), affermava:”Ma chi va oggi dai medici di famiglia?”

Un’affermazione che metteva in evidenza la quasi inutilità dei medici di base. Ebbene oggi a loro è invece richiesto un ruolo che è stato sminuito nel corso degli anni! A loro è stato chiesto di intervenire senza mezzi di protezione, senza strumenti, senza indicazioni precise, sbattuti in prima linea per impedire l’arrivo in ospedale di casi già troppo gravi. I medici di base sono stati lasciati andare allo sbaraglio e oggi, chi segue scrupolosamente i pazienti, lo fa rischiando la vita.

Nella sola Lombardia il virus si è portato via decine di medici base. In questo senso davvero la Lombardia “ha fatto la storia”, ma non quella dell’efficienza e dell’efficacia tanto sbandierata dai politici della regione Lombardia, durante l’inaugurazione dell’ospedale in fiera, bensì quella del dolore, delle morti di tanti operatori che “a mani nude” hanno tentato di curare tante donne e tanti uomini di questa nostra terra lombarda»

redazione@varese7press.it

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