Lettera aperta al Premier Conte: ”Chi tutela gli eroi dimenticati, i precari dei supermercati?”

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VARESE, 26 aprile 2020-Gentilissimo Premier Giuseppe Conte,

l’hashtag del momento è certamente #IORESTOACASA, coniato per la prima volta da Lei, nella conferenza stampa straordinaria del 9 marzo 2020, ed utilizzato come parola d’ordine motivazionale per tutta Italia nel tentativo di stabilire il distanziamento sociale necessario per isolare ed arginare il propagarsi del Coronavirus (Covid-19).

Grazie ai provvedimenti stabiliti dal suo Governo abbiamo avuto una chiusura quasi totale di tutte le attività sociali e lavorative, con la possibilità di uscire solo ove strettamente necessario e per i motivi previsti dal DCPM, ma non tutti i luoghi di lavoro, ovviamente, possono restare chiusi, perché è necessario garantire al paese i servizi fondamentali per la sussistenza dei cittadini.

Alcuni lavoratori, sono stati messi in condizione di lavorare da casa, attraverso la forma dello smart working, ma tanti altri sono rimasti o sono stati inviati in trincea per fronteggiare l’emergenza. In primis i medici e gli infermieri, i farmacisti, quindi i dipendenti della grande distribuzione, in particolare addetti e cassieri dei supermercati, molti dei quali precari.

Un esercito di lavoratori, di cui anche io faccio parte, spesso dimenticati. Madri e padri di famiglia, con figli e nonni da salvaguardare, di cui però nessuno parla.

Chi lavora a contatto con il pubblico lo sa: per noi non esiste il sabato, né la domenica, né alcuna giornata festiva… si lavora sempre, e non solamente ora in tempo di crisi.

Siamo operai sul fronte di guerra nella lotta al Coronavirus, a stretto contatto con il pubblico e preoccupati dei relativi rischi per la salute, costretti a svolgere le proprie mansioni spesso senza l’ausilio dei presidi medici necessari (guanti e mascherine). Relegati in una perenne condizione di incertezza lavorativa.

In questo momento così delicato, dove ci è stato chiesto di rimanere in prima linea per il bene del paese, abbiamo dimostrato un alto senso di responsabilità garantendo la distribuzione alimentare, e continueremo ad impegnarci nonostante lo stress psico-fisico a cui siamo sottoposti.

La prima ammalata di coronavirus a Roma è stata la dipendente di un casalinghi-supermarket. Una notizia che ha avuto poco eco sulla stampa nazionale, perché è sempre più importante parlare della ripresa del campionato di calcio, e già si invocano i tamponi da fare a tutti i calciatori e a tutti i loro familiari.

Mentre se si ammala uno di noi, per la malcapitata o il malcapitato non vi è alcuna possibilità di controllo, non è possibile sapere se si è stati infettati oppure no.

Il suo Governo ha anche, giustamente, sottinteso un patto di solidarietà con i medici e gli infermieri, e molti sono stati “arruolati” a tempo indeterminato. Come dire: “chi rischia in prima linea viene premiato con un contratto stabile”, cosa che però non avviene per noi precari della grande distribuzione, costretti a lavorare senza alcuna garanzia contrattuale.

Perché i beffati siamo sempre noi, quelli la cui presenza è fondamentale per mandare avanti il bel paese ma che nessuno vuole tutelare: noi i lavoratori precari della grande distribuzione, che accogliamo tutti i giorni quei clienti mai così determinati nel pretendere servigi e nell’accaparramento di beni.

I supermercati sono, infatti, luoghi ad alta frequentazione e dunque ad alto rischio di contagio, ma troppo spesso vengono considerati imprudentemente dai cittadini come spazi di evasione, dove confluire in massa per sfuggire all’isolamento domestico, e ove recarsi senza le adeguate protezioni sanitarie (guanti e mascherine) a nostra salvaguardia e a salvaguardia del prossimo.

È stato detto a tutti gli italiani di evitare gli assembramenti nei luoghi chiusi, ma ogni giorno siamo noi a dover gestire file interminabili di persone (non sempre educate e responsabili) e gli assalti ai punti vendita, con tanti problemi di logistica e di tutela civile.

Le chiedo dunque: chi si preoccupa oggi della nostra salute?

Cosa ne sarà di noi precari una volta finita questa emergenza?

Perché non può essere garantito anche a noi, come premio per il nostro sacrificio, un contratto stabile, che possa farci sperare nel futuro?

Non lo meritiamo, forse…?

La ringrazio
MONICA MAYONE
monicamayone@libero.it