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Intervista a Salvatore Garzillo giornalista freelance sul fronte di guerra in Ucraina: ”Ho visto persone muoversi come zombie in condizioni estreme”

VARESE, 14 aprile 2022- di GIANNI BERALDO-

Dopo quasi 50 giorni, praticamente fin dall’inizio del conflitto, trascorsi sui principali fronti della guerra in Ucraina (iniziata ricordiamo con l’invasione da parte dell’esercito russo lo scorso 24 febbraio) ora il 34enne Salvatore Garzillo, noto giornalista e reporter freelance italiano, ha deciso che fosse giunto il momento di trovare una exit strategy (così viene definita), considerato che la situazione attuale è decisamente peggiorata con il rischio di rimanere intrappolati, senza più avere la possibilità di lasciare l’area principale del conflitto.

Nonostante la giovane età Garzillo è un professionista con alle spalle diverse esperienze e inchieste importanti (come alcune sulla mafia e quella per Fanpage sui finanziamenti ‘neri’ a politici della Lega di FdI) che lo hanno portato alla ribalta nazionale ma non solo. Per non dire di servizi effettuati in Afghanistan e Iraq.

Lui nel Donbass ad esempio vi era già stato nel 2014, seguendo sempre in prima linea le prime fasi del conflitto intestino tra filorussi ed esercito ucraino durato poi ben 8 anni e fonte di continue diaspore politiche tra Ucraina e Russia con quest’ultima che di fatto reputa quella regione, insieme alla Crimea, come regioni annesse alla Federazione Russa pur con una loro indipendenza.

«In realtà mi reputo un giornalista di cronaca, d’inchiesta applicando gli stessi principi anche in questo scenario», ci dice durante un’intervista video con collegamento (in una situazione logistica precaria) da Slovjansk, città del Donbass in Ucraina, raccontandoci molte cose davvero interessanti con quella umiltà e pragmaticitá tipica di alcuni giornalisti, quei seri professionisti dell’informazione che prima di raccontarle le cose le devono verificare vivendole direttamente sul campo.

Salvatore potresti spiegarci come ci si muove a livello giornalistico in scenari di guerra?

Dipende se sei un giornalista inviato o freelance come il sottoscritto. Io ho stipulato diversi contratti però non ho nessun giornale alle spalle che possa in qualche modo tutelarti. Prima di questa guerra sono già stato in Afghanistan e l’anno scorso in Iran. Qui in Ucraina sono stato nel 2014 in Piazza Maidan e nel Donbass nello stesso anno e l’anno successivo. Insomma una certa esperienza l’ho accumulata anche se di base sono un cronista di nera all’Ansa di Milano oramai da 11 anni.

Esperienze pregresse che immagino sia servite per avere contatti sul campo.

E’cosi. Infatti di base ci si muove utilizzando possibilmente un fixer ossia la persona che ti risolve i problemi logistici, una sorta di tuttofare che può aiutarti anche come driver, per la lingua e altro ancora. Sono persone che tendenzialmente li trovi in ogni scenario di guerra. Ovviamente è un servizio che costa. Io ho la fortuna di avere qui in Ucraina molti contatti e pertanto non ne ho avuto la necessità.

Quando sei arrivato in Ucraina?

Sono arrivato a Leopoli il 26 febbraio trasferendomi successivamente nell’estremo Ovest dove ho trovato dei miei contatti, delle persone che si occupano della resistenza che mi hanno ospitato. Questo mi ha consentito di costruire delle storie. Loro raccolgono ancora tanto materiale come beni di prima necessità ma pure kit medici, droni, visori notturni ecc.. Materiale che poi spediscono al fronte. Poi mi sono trasferito a Kiev dove ho lavorato su altre storie come ad esempio sul capo ultras della squadra di calcio della Dinamo Kiev (che uscirà prossimamente sul mensile Rolling Stone, ndr) che conosco da diverso tempo.

Cosa ha fatto d’importante questo capo ultras?

E’uno che per questo conflitto ha trasformato la tifoseria della Dinamo Kiev in una sorta di battaglione con tanto di stemmi personalizzati della Dinamo da applicare alla divisa militare. Ora stanno combattendo in prima linea nella parte est del territorio. Tornando ai mie spostamenti, da Kiev sono andato a Kharkiv stando molto in prima linea, in trincea, seguendo moto da vicino il contatto tra le parti.

Immagino che tu abbia assistito a delle scene difficili da raccontare

Direi di sì. Morti dappertutto soprattutto nella zona di Kharkiv dove ho trovato tantissimi cadaveri di soldati russi. Stessa scena in diversi avamposti russi. A est di Kharkiv vi è il villaggio di Mala Rogan che è stato occupato dai russi, quando siamo entrati il giorno dopo la battaglia di liberazione abbiamo visto decine di morti di soldati russi con cadaveri dappertutto: nei cortili, per le strade e altre zone del paese. Oltre a carri armati russi, con impressa la Z, esplosi così come alcuni recuperati dall’esercito ucraino per poi venire riutilizzati una volta risistemati.

Tu sei stato anche alla tristemente famosa stazione di Kramatorsk, che puoi dirci su quanto accaduto?

All’inizio pensavamo che fosse un missile russo intercettato dalla contraerea ucraina, esattamente come accaduto a Kiev nelle settimane precedenti, con pezzi che po cadono colpendo le persone che si trovano nella zona. In questo caso pare che non sia andata così visto che mancava il tipico cratere provocato dall’impatto. Di questo tipo di missile, che si chiama Tochka U ed è lungo circa 7 metri che nel caso specifico non ha impattato di testa. La sezione anteriore probabilmente conteneva delle bombe a grappolo che sono devastanti. E questo potrebbe giustificare l’assenza del cratere.

Bombe a grappolo che hanno creato una carneficina di civili con il dubbio di chi sia stato a lanciare il razzo

Guarda la scena a cui ho assistito era incredibile. Molti corpi, compresi diversi bambini, erano completamente a pezzi. Sulle responsabilità,considerato il tipo di razzo anche un pó desueto, potrei dire che vi sono pochi dubbi sul fatto che l’abbiano utilizzato se non l’esercito russo, che invece utilizza razzi di ultima generazione, probabilmente quello filo russo visto che qui simo nel baluardo filo russo.

Parlando di civili: nelle aree dove sono in corso gli attuali scontri vi è la possibilità di fuga?

Ora non più. Poi quella rimasta è tutta gente che non ha né soldi né mezzi, così come non hanno contatti utili a lasciare queste zone. Sono costrette a rimanere ma poi anche se vi fosse la possibilità bisogna pensare che queste sono persone che hanno vissuto in questi luoghi tutta la vita sperduti ma che per loro rimane l’unica alternativa non avendo altri luoghi dove andare. Poi non dimentichiamo che questa parte dell’Ucraina è in guerra da otto anni e non ‘solo’ dal 24 febbraio Insomma non è facile prendere delle decisioni.

Ma loro percepiscono che da parte dei paesi europei e altri si stanno muovendo per tentare di aiutarli in qualche modo, oppure vivono nella loro drammatica quotidianità di guerra senza speranza?

Qui la quotidianità non esiste. Chi non è riuscito a fuggire vive sotto terra, si nasconde

(Photo by Aris Messinis / AFP)

uscendo solo per lo stretto indispensabile. Le città sono deserte. Sono intrappolate attendendo l’assalto finale dei russi che li schiacceranno sicuramente. Nelle prossime due settimane qui passerà il rullo compressore.

E in questi casi come vi muovete sul campo?

Guarda l’altro giorno ero al confine di Donetsk, ad un certo punto hanno iniziato a bombardare e quando senti il fischio vuol dire che è molto vicino. Io e altri colleghi ci siamo nascosti in una specie di casa abbandonata. Un shelter, un rifugio di epoca sovietica dove vi erano 250 persone. Il tutto senza elettricità e acqua. Una sorta di labirinto buio con le stanze create con tende illuminate da candele. Una situazione estrema dove convivevano uomini e donne anche con neonati: sembravano tutti degli zombie dei walking deads; una scena incredibile.

In altre aree dell’Ucraina però le cose vanno decisamente meglio con città, come Kiev, che hanno ripreso le varie attività commerciali. Ora è come fosse divisa a metà

(EPA/ROMAN PILIPEY)

L’Ucraina è un Paese enorme che per attraversarla da un capo all’altro ci vogliono quasi 24 ore di viaggio. Non direi quindi che è divisa a metà, basti pensare allo stesso Donbass, una regione ricca di minerali. Oppure la città di Dnipro che si trova nell’est ma non è stata rasa al suolo e dove la gente continua a vivere bene facendo la spesa ecc. Una città tra l’altro molto bella dallo stile europeo e che continua più o meno con la sua normalità. Dove mi trovo ora invece è un infermo, qui è vera guerra dove vedi disperazione e miseria. Se vogliamo parlare d Kiev non è che è proprio serena la situazione visto che ogni tanto arriva ancora qualche missile e le sirene continuano a suonare. Stessa cosa per Leopoli che sta dall’altra parte al confine con l’Europa. Poi vi è da evidenziare che da parte della gente vi è pure una normalizzazione del rischio, del pericolo e della paura. Ad esempio all’inizio del conflitto appena suonavano le sirene la gente correva nei rifugi ora non più. Questo per le città come Kiev, qui invece quando suona la sirena un missile in arrivo è assicurato. Anzi quando suona la sirena è già una fortuna, perché a volte prima cade il missile poi suona. Può capitare, non è che quelli ti avvertono che stanno per bombardare. Poi dipende che tipo di bombardamento: se con drone, con aviazione oppure un colpo di mortaio che determinano pure la distanza.

Chi sono i Black Tulip (tulipano neri, ndr) che tu hai recentemente intervistato?

Sono dei tizi veramente assurdi, estremi, i quali da anni vanno raccogliere cadaveri in front

(Foto by Sergei SUPINSKY / AFP)

line sia di soldati russi che ucraini. Prendono i corpi, li portano in obitorio dove vengono identificati consentendo in questo modo di dare informazioni utili anche ai familiari delle vittime. Per loro è una sorta di missione con lo scopo di dare una degna sepoltura a queste persone.

Ma come te la cavi per cose pratiche come lavarsi e rifocillarsi?

Nonostante tutto riesco a mantenere un’ottima igiene intima personale per quanto possibile (dice ridendo) ma certamente i miei vestiti hanno visto momenti migliori. Per quanto attiene il cibo appena trovi un market in qualche città o paese cerchi di fare la scorta. In realtà una volta sono riuscito pure a mangiare un piatto di spaghetti con il pesto! Quello che in questo momento mi manca è sicuramente la frutta, ora introvabile.

Quando è nata questa scelta di fare il reporter di guerra?

Io non sono un reporter di guerra, in realtà sono e rimango un cronista. Diciamo che cambia il contesto: tu puoi avere tanti tipi di incarto ma se dentro sei un cremino quello rimani. Io sono un cronista che si adatta. Posso seguire giornalisticamente una partita del Napoli così come andare a Rozzano per un pezzo sugli spacciatori oppure, come in questo caso, essere in scenari di guerra. Ovvio che sono profili diversi. Per affrontare certe situazioni bisogna avere una preparazione diversa, così come diversa deve essere la struttura mentale e organizzativa però la radice è sempre quella del cronista. Io non faccio opinione, semplicemente racconto i fatti.

Come potrebbe finire questa guerra?

Probabilmente con i russi che prenderanno il Donbass sperando che si fermino lì. Una cosa che se ci pensi è pazzesco. Ma come, hai fatto un casino incredibile, distrutto una popolazione, un’economia, un’immagine di un Paese per ottenere qualcosa che di fatto già possedevi.

Le trame di politica internazionale non sempre si riescono a capire

Le trame internazionali non le conosco. Sai io sono un umile cronista, tipo posso giusto raccontare quello che vedo mettendoci i piedi. A volte nemmeno ci riesco. Quindi le trame reali di tutto questo casino non le conosco.

redazione@varese7press.it

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