L’ombra del patriarcato continua a uccidere: Teresa, Samia e Lucia, vittime di una cultura che non si arrende

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GALLARATE, 22 aprile 2025-Ancora una volta, la cronaca si tinge di un rosso doloroso e inaccettabile. Negli ultimi giorni, a Samarate, Udine e Bitonto, tre donne – Teresa, Samia e Lucia – sono state brutalmente assassinate a coltellate per mano di uomini che avrebbero dovuto amarle e proteggerle: due mariti e un ex marito. Un copione tragicamente familiare, che si ripete con una frequenza sconcertante, lasciando dietro di sé un’eco di dolore e rabbia.

Dietro questi gesti efferati si cela una mentalità arcaica e pericolosa: quella di uomini che non accettano la fine di una relazione, che considerano la propria compagna o ex compagna come un oggetto di loro proprietà, incapaci di concepirla libera e indipendente. Il terrificante “sei mia e di nessun altro!” risuona come un lugubre leitmotiv in queste tragiche vicende.

Non si tratta di “mostri” isolati, di figure oscure e distanti dalla nostra quotidianità. Come sottolinea giustamente l’Associazione Casa delle Donne ‘Anna Andriulo’ di Gallarate, questi uomini sono spesso il vicino di casa, il padre di famiglia, il “ragazzo di buona famiglia”, lo studente, l’operaio, il libero professionista. La mano che arma i loro gesti violenti affonda le sue radici in una cultura patriarcale ancora profondamente radicata nella nostra società.

I numeri parlano chiaro e sono agghiaccianti: 113 femminicidi in Italia nel 2024 e già 13 da gennaio 2025 ad oggi. Dietro queste cifre fredde si celano volti, storie di dolore e paura che accomunano ogni singola vittima. Un’escalation di violenza che non risparmia nemmeno le giovani generazioni, come dimostrano i crescenti casi di molestie, stupri di gruppo e l’ignobile pratica del “revenge porn” che spinge al suicidio.

È innegabile che il problema sia culturale e pervasivo, coinvolgendo ogni strato della società. Ed è proprio sul fronte della prevenzione che si registra un vuoto allarmante. Se la prevenzione è l’arma fondamentale per invertire questa tragica tendenza, le misure adottate a livello politico e istituzionale sembrano non andare in questa direzione.

La legge 168, emanata con urgenza dopo l’omicidio di Giulia Cecchettin nel novembre 2023, pur contenendo disposizioni per il contrasto alla violenza sulle donne, presenta una lacuna gravissima: l’articolo 19 sancisce che non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Tradotto, significa che non è stato stanziato un solo euro per la formazione di insegnanti e studenti, mentre si continuano a investire ingenti risorse in armamenti e politiche di guerra.

È evidente che un approccio meramente punitivo e securitario non è sufficiente. I braccialetti elettronici e l’inasprimento delle pene, pur necessari in alcuni casi, non bastano a fermare la furia omicida di chi è imbevuto di una cultura di possesso e dominio.

È necessario un cambio di passo radicale, un investimento concreto e a lungo termine in progetti di prevenzione. Servono fondi per la formazione nelle scuole, a partire dalla prima infanzia, per educare le nuove generazioni a relazioni sane, basate sul rispetto delle differenze, su un’affettività e una sessualità libere da ogni forma di possesso e violenza. Solo così potremo sperare di veder crescere una società di persone consapevoli e rispettose.

L’appello dell’Associazione Casa delle Donne ‘Anna Andriulo’ di Gallarate è chiaro e urgente: è tempo di smettere di contare le vittime e iniziare a investire seriamente in un cambiamento culturale profondo. Il silenzio e l’immobilismo sono complici di questa strage silenziosa. È ora di agire, con determinazione e risorse adeguate, per spezzare la catena di violenza e costruire un futuro in cui nessuna donna debba più temere per la propria vita.