Intervista al trio GRÓA: l’Art-Punk islandese che rompe gli schemi con l’album “Drop P”

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  VARESE, luglio 2025- di GIANNI BERALDO

Regala emozioni forti e insolite il sound delle GRÓA, trio islandese composto dalle sorelle Karólína Einars Maríudóttir (Karó), Hrafnhildur Einars Maríudóttir (Hrabba),  e dall’amica d’infanzia Fríða Björg Pétursdóttir, autrici di un album (il quarto della loro carriera) incredibile intitolato Drop P, pubblicato dalla One Little Independent Record.

Lavoro discografico che spiazza. Soprattutto per quel giusto e riuscito mix tra art-punk, noise d’avanguardia e rock sperimentale.

Album che ha visto pure la collaborazione, in un brano, della band argentina Blanco Teta, autori di rock sperimentale, punk-pop e noise, con testi che trattano temi transfemministi e un approccio avant-garde.

Insomma le GRÓA sono davvero interessanti, fautrici di una proposta musicale decisamente sopra la media.

Per saperne di più le abbiamo intervistate, collegandoci via zoom dove, comodamente sedute su di un divanetto, le tre giovani artiste si sono alternate alle risposte  senza seguire un canovaccio prefissato, dimostrando sincero interesse e curiosità per le nostre domande.

Il nuovo album, Drop P, è descritto come “rumoroso, caotico e sentito”, catturando perfettamente il vostro spirito DIY. Come riuscite a mantenere l’equilibrio tra questi elementi apparentemente in contrasto tra loro?

In realtà non li sentiamo contrastanti, fanno tutti un po’ parte di noi e quando facciamo le canzoni non li vediamo come contrastanti. Forse perchè abbiamo realizzato questo album in luoghi e ambienti diversi, quindi anhe con diversi elementi in gioco. Come la combinazione di scrivere mentre si viaggia poi continuando a casa. O, più semplicemente, scrivere quando si ha abbastanza tempo per poterlo fare.

Snouge è un termine ricorrente nel nuovo album, potreste spiegare in dettaglio cosa significa?

E’ difficile da descrivere. Ci è venuto in mente quel termine, perché va oltre le cose che abbiamo e che non riusciamo a esprimerle con altre parole. Diciamo che snouge cattura un sacco di colori, sentimenti. Come una sorta di confine tra l’essere immaginario e la realtà. E’ una specie di sentimento combinato che diventa sempre più grande, sempre più cose diventano snouge man mano che ce ne rendiamo conto; è qualcosa ancora in evoluzione e può essere qualsiasi cosa nel mondo, arte o musica oppure come un qualcosa di fisico.

Vi sentite snouge in questo momento?

Sì, forse un po’ in effetti. Penso che questa conversazione potrebbe essere un pò snouge ad esempio.

Kim è la prima canzone che avete scritto per l’album esplorando frustrazione, rabbia e disperazione: perché avete scelto di posizionarla come ultima traccia dell’album?

Penso sia perché, anche se ha elementi che richiamano una certa frustrazione, è anche molto, molto piena di speranza per noi. Anche quando la cantiamo dal vivo la canzone è davvero piena di speranza, nel senso di riuscire a rilasciare molte emozioni. Quindi è come se, avendola alla fine di un album, in qualche modo si unisse tutto per poi proiettarlo all’esterno. In realtà è non è una vera e propria chiusura, io la immagino come una grande parata di persone che camminano solo e semplicemente con lo scopo di allontanarsi, per poi tornare. Nel nostro caso tornare per fare un nuovo album.

Il vostro processo creativo è sempre spontaneo oppure vi è qualcosa di intenzionale, qualcosa di calcolato?

Davvero una bella domanda, come le precedenti che hai fatto d’altronde Noi due siamo sorelle, quindi passiamo molto tempo avendo esperienze simili. Condividiamo molte delle stesse esperienze, delle quali ci piace parlarne in qualsiasi contesto ci troviamo. Come ad esempio quando siamo a casa della nonna o qualcosa del genere.

Dalla nonna?

Sì anche. Discutiamo di varie cose mentre siamo a mangiare a casa sua. Poi magari scriviamo e proviamo pure canzoni che riguardano fatti di vita. Ad esempio Cranberry e Birdshit, due canzoni che raccontano la storia di quando eravamo in tour insieme, o come trascorrevamo del tempo da qualche parte. Come quando accade qualcosa che ci ha colpito tutti, a quel punto risulta semplice da scrivere insieme canzoni a riguardo, in quanto le scriviamo sempre nella stessa stanza dall’inizio alla fine. Parliamo di tutto e poi, improvvisamente, qualcosa si adatta a una canzone dando un senso a qualcosa che stavamo scrivendo. Spesso in forma divertente.

Avete mai suonato in Italia?

Finora mai purtroppo. Ci abbiamo provato, ma non abbiamo avuto ancora avuto l’opportunità.

Karoline, tu hai costruito anche degli strumenti: quanto è importante l’innovazione e la sperimentazione per te, non solo a livello di strumentazione, ma anche nella scrittura delle canzoni e nella produzione?

In effetti ho costruito un paio di strumenti, ma penso di averne usato solo uno per un album. Strumento il quale, tra l’altro, non era nemmeno nato da un mio progetto. Più che la strumentazione, penso sia più importante come e cosa influenzi il tuo stato mentale per dare vita ad aspetti creativi. Forse l’utilizzo degli strumenti influenza maggiormente il sound della band e su come utilizzare la batteria o la chitarra. Si può produrre un suono da una chitarra in molti modi diversi, cercando di estendere i confini di qualsiasi strumento rispetto a come si suonano normalmente.

Il brano Eldingar i prag, è una sorta di di viaggio notturno che immagino come un film, una sorta di sceneggiatura cinematografica: c’è un significato più profondo oppure è la narrazione di un’esperienza?

La storia in sè è più profonda e dettagliata. Penso sia solo una piccola versione ristretta di quello che è successo. Fondamentalmente racconta la storia di quello che ci è capitato una notte, quando stavamo guidando da Senica a Praga, che in islandese significa fulmini. due estati fa. Diciamo che fu una notte caotica.

In questo album avete collaborato anche con vari artisti islandesi e internazionali, come gli argentini Blanco Teta nel pezzo Beauty Tips: come scegliete i vostri collaboratori e quanto è importante l’interazione con altri musicisti nel vostro processo creativo?

Non ci capita spesso di scrivere canzoni con qualche altro artista. Se accade dobbiamo trovare una connessione diretta fin dall’inizio, trovando un elemento di eccitazione. Abbiamo visto i Blanco Teta suonare in Islanda e a noi sono piaciuti molto. Sia i musicisti che il loro spettacolo, dal vivo era super potente, a quel punto volevamo conoscerli meglio. Il loro è un sound dinamico, dall’impatto molto forte, anche perché a me piace molto come usano il violoncello nelle loro performance e negli album, è davvero bello. Io mi ispiro a quello. Per la collaborazione si è instaurato fin da subito un legame istantaneo e di fiducia nei loro confronti, lasciandoli liberi di scrivere quello che volevano.

Vi piacciono altri generi musicali come il folk o blues ad esempio?

Sì, assolutamente. Mi è sempre piaciuto il blues. Quando ero più giovane suonavo molta musica blues al pianoforte, poi mi sono evoluta su altri generi. Ma ho come un piccolo debole per il blues, decisamente. E non posso nasconderlo!

Siete state tra le fondatrici del collettivo artistico “Post-Draping”, qual è l’importanza di questo collettivo per voi come band e per la scena musicale islandese in generale?

Inizialmente è nato come un gruppo di amici, poi è diventato uno spazio ideale per artisti emergenti, utile a provare nuove cose non solo per pochi amici, ma anche per tutte le persone che condividevano le stesse idee. Situazione importante per chi voleva le stesse cose dalla musica, in una città dove era forse difficile trovare un posto per suonare live.. Ora esiste una scena underground importante in Islanda, nel collettivo ci sono molti progetti e spesso si suona tutti insieme. Quel collettivo era (ed è) davvero un bel sistema di supporto e spazio sicuro, e se avevi bisogno di prendere in prestito qualche attrezzatura o volevi condividere le tue idee o, più semplicemente prendere un caffè, era ok. Per noi è stato davvero importante in quel momento, anche solo per continuare a creare cose in una città super piccola dove ti abitui a tutto. Ma questo ti aiuta, in un certo senso, pure a sperimentare maggiormente, andando sempre più a fondo in quello che stai pensando, anche se magari non ci sono poi così tante persone ad ascoltare quello che stai facendo. Insomma sai cosa intendo.

Mi ricorda la Factory di Andy Wharol a New York con Nico, Lou Reed ecc… Sentite ma a chi è venuta l’idea di formare il gruppo?

Andy Wharol, è vero! Su come è nata l’idea in realtà non ricordo, eravamo così piccole. Penso fosse solo un’idea naturale, un’idea come altre su cosa avremmo potuto provare. Era più un desiderio di fare qualcosa di nuovo ed eccitante in qualche modo, perché avevamo 12 e 13 anni quando abbiamo iniziato a suonare qualcosa insieme, a fare musica insieme, poi abbiamo formato la band pochi anni dopo. Quindi penso che sapessimo tutte che volevamo fare qualcosa.

Avete iniziato suonando musica rock o altri generi?

Sì abbiamo iniziato a comporre musica rock super strana, davvero, davvero, davvero strana. Poi si è evoluta in musica più rock tradizionale. Immagino che all’epoca non sapessi nemmeno cosa fosse la musica rock o pop.

Per la creazione dell’album vi siete l’isolate per due settimane: questo periodo di vita condivisa e le vostre relazioni individuali all’interno della band, come hanno influito sulla creatività artistica e sull’intero lavoro discografico?

Per noi è stato come se l’avessimo già fatto prima. Avevamo già trascorso più di due settimane insieme, viaggiando o vivendo insieme. In questo caso, farlo con lo scopo di fare musica è stato solo un modo davvero bello e utile per concentrarci. Abbiamo cucinato insieme e fatto altro, affrontando anche momenti lenti e piacevoli finché non sentivamo di essere pronti a fare qualcosa di significativo e con delle belle idee. Importante è stare insieme, semplicemente, come nelle situazioni quotidiane. Puoi usare tutto il tempo che vuoi, anche se non sei con una chitarra in mano o qualcosa del genere. Vi sono momenti che stai pensando qualcosa per poi condividerlo con gli altri. E questo lo rende più personale e bello. Tra l’altro, il posto dove abbiamo convissuto e creato l’album è molto bello. La città più vicina rispetto si trova a 45 minuti di distanza. E’ molto bello e rilassante, circondato dalla natura con pecore, cavalli e falene. E’ anche un luogo molto avventuroso utile ad aprire la mente.

Considerando il caos e l’imprevedibilità che spesso caratterizzano la vostra musica e le performance dal vivo, vedete delle somiglianze tra il vostro approccio artistico e l’attuale panorama politico globale?

Quindi è una domanda politica?

Certo, ma non solo politica

Il modo in cui componiamo e scriviamo musica, è super influenzato dal nostro modo di pensare al mondo e da come viviamo le cose intorno a noi. Discutiamo molto e di tutto prima di fare una canzone, quindi penso che quello che facciamo possa spesso apparire come imprevedibilità, o come caotico. Noi stiamo cercando di esprimere qualcosa in qualche modo che noi reputiamo giusto. E anche se non uso molto i testi per descrivere in dettaglio quello che penso, cerchiamo di esprimerci usando certe tonalità che riflettono comunque un certo atteggiamento.

Stiamo attraversando storicamente un momento terribile, voi pensate che la musica possa ancora essere ancora utile a trasmettere un messaggio importante per la pace?

Decisamente. Voglio dire, suoni per le persone e puoi sempre provare a dire loro qualcosa o semplicemente esprimere la tua opinione su o qualcosa. Ma penso anche che sia importante il nostro modo di creare pace, come lo trasmettiamo agli altri, capisci? Dobbiamo farlo creando un sistema tra noi, che sia completamente illimitato in ogni modalità coinvolgendo più persone possibili.

Sono d’accordo con quanto affermate. Anche solo scegliendo dove suoni, dove esibisci la tua arte e dove decidi di non farlo, è un messaggio molto importante.

E’ vero!

Nei concerti vi affiancano altri musicisti?

Vi è anche Masha, ha iniziato a suonare con noi dal vivo tre o quattro anni fa. Suoniamo entrambi il sax, il più delle volte si unisce a noi diventando di fatto un quartetto, dove lei suona pure le percussioni.

Grazie per l’intervista sperando di vedervi presto in Italia oppure direttamente in Islanda!

Grazie a te per le belle domande e per il fatto che ci hai fatto pensare e parlare della nostra arte. Questo è davvero bello.

direttore@varese7press.it