VARESE, 16 agosto 2025- di GIANNI BERALDO
In questo sabato post Ferragostiano, in mattinata abbiamo deciso di fare un giro al mercato cittadino, per capire chi fosse rimasto in città e quanti ambulanti vi fossero in Piazza della Repubblica (sede appunto del mercato) nonostante il gran caldo e periodo vacanziero.
Fin da subito abbiano constatato l’ovvio ridotto numero di ambulanti, ma soprattutto ci è balzato all’occhio parecchie bancarelle che vendevano abiti usati, ubicate prevalentemente nel parcheggio del Teatro, che si tramuta in piazza nei giorni di mercato.
Le uniche davvero affollate. Magliette, pantaloni, giacche. Non sono articoli vintage o di alta moda. Sono vestiti di tutti i giorni, e i prezzi sono stampati in modo chiaro e quasi incredibile: da 0,50 a 1 euro a capo! La dignità di un capo d’abbigliamento qui ha un valore simbolico, quasi irrisorio. Da dove provenga questa mercanzia, bè questa è un’altra storia.
Bancarelle che esistono da anni al mercato cittadino, quasi tutte gestite da ambulanti di etnia africana.
Una bancarella in particolare colpisce per la sottile ironia del proprietario, che ha pensato bene di mettere in bella mostra un cartello riportante la frase “tutto a 1 euro basta ravanare”, utilizzando un termine tipicamente lombardo!.
La maggioranza dei clienti è composta da cittadini stranieri (in prevalenza sudamericani o gente proveniente dall’Est europeo) probabilmente residenti a Varese, che scelgono con attenzione ogni pezzo, soppesandolo, quasi per assicurarsi che l’affare valga la spesa minima. Ma ci sono anche molti italiani, varesini compresi.
Persone anziane, giovani coppie, madri di famiglia che scrutano con la stessa minuzia le pile di abiti. Non c’è vergogna, solo concentrazione e il bisogno di fare due conti. E in quell’angolo di mercato, l’etichetta di “Varese benestante o città ricca per antonomasia”, lascia il tempo che trova confrontandosi quotidianamente con un’altra realtà.
Questa esperienza, questa fotografia sociale quale può essere un “semplice” mercato cittadino, racconta di una crisi che non fa rumore, che si annida anche nelle città considerate più fortunate. E fa emergere come, anche in una provincia come Varese, il carovita e la precarietà non risparmia nessuno, spingendo anche chi vive qui da generazioni a cercare soluzioni per far quadrare i conti.
Per alcuni, si tratta di una questione di sopravvivenza per altri, semplicemente, di una necessità.
E certe situazioni sarebbe meglio non sottovalutarle, prima che deflagrino divenendo ingestibili.





