VARESE, 25 agosto 2025- di GIANNI BERALDO
Varese, come molte altre città, ha i suoi volti noti, presenze fisse che si incontrano quotidianamente negli stessi angoli. Tra questi, spicca una particolare categoria: i mendicanti (così come alcuni musicisti di strada), che hanno trasformato la questua in una vera e propria professione, spesso con una tacita organizzazione. Non si tratta di persone senza fissa dimora che chiedono sporadicamente un aiuto, ma di individui che, giorno dopo giorno, occupano strategicamente i punti nevralgici della città, seguendo orari e turni ben precisi.
Alcuni, anziani compresa qualche donna li incrociamo, da diversi mesi, a giorni alterni,con cappellino in mano spesso sotto i portici della centralissima via Volta e Corso Matteotti. Altri, giovani sui trent’anni di media, di nazionalità africana e con un abbigliamento certamente non da poveracci nullatenenti, da anni bazzicano, soprattutto nella giornata di sabato, in alcuni punti strategici di Corso Matteotti anch’essi con cappellino in mano teso con fare meccanico (ma con modi educati) spesso senza ascoltare l’ennesimo diniego del passante alla richiesta di qualche spicciolo ( o euro che dir si voglia).
Tra le varie tipologie di questuanti, a volte tornano in auge purebgli eterni venditori di libri d’autori africani, trovando anche in questo caso il “mercato” saturo con la gente che non abbocca più.
I luoghi scelti non sono casuali. I dintorni dei supermercati, le aree pedonali del centro, gli incroci con semaforo più trafficati e le fermate degli autobus sono i palcoscenici di questa attività. Sono punti dove il flusso di persone è costante e le possibilità di elemosina aumentano. Ogni “professionista” sembra avere il suo territorio. Ad esempio, non è raro notare la stessa persona all’ingresso di un ipermercato in un giorno specifico della settimana, per poi trovarne un’altra in quel medesimo luogo il giorno successivo. Questo suggerisce una sorta di suddivisione del territorio, un accordo non scritto che mira a massimizzare i guadagni senza creare frizioni.

L’aspetto più intrigante di questo fenomeno è la sua apparente organizzazione. Sebbene non esista un “sindacato dei mendicanti”, l’osservazione quotidiana rivela una gestione quasi imprenditoriale. Ci sono turni settimanali ben definiti. Non è insolito vedere una persona in Via Cavour il martedì e il giovedì, mentre un’altra occupa lo stesso posto il mercoledì e il venerdì. Questa rotazione non è casuale: garantisce una presenza costante, ma evita che la stessa persona diventi “troppo familiare” o stanchi la generosità dei passanti. L’alternanza dei volti mantiene l’effetto di novità e, di conseguenza, la probabilità di ricevere un’offerta.
I varesini hanno sviluppato un rapporto ambivalente con queste figure. Da un lato, c’è chi prova compassione e offre regolarmente qualche moneta, spesso creando un legame di conoscenza quasi quotidiano. Dall’altro, cresce il sospetto e la frustrazione. Le segnalazioni di mendicanti con cellulari di ultima generazione o che si spostano in auto a fine “turno” alimentano la percezione che la questua sia una messinscena, un modo per sfruttare la buona fede delle persone. Questo ha portato alcuni a chiudere il portafogli, convinti di trovarsi di fronte a una truffa ben architettata piuttosto che a un reale stato di bisogno.
Al di là del giudizio morale, la presenza di questi “professionisti della strada” a Varese è un’istantanea di dinamiche sociali che si evolvono in modi inaspettati, un microcosmo di regole non scritte e strategie silenziose che si nascondono dietro l’atto semplice e quotidiano del chiedere l’elemosina.
Rimane il fatto che il grado di sopportazione da parte dei cittadini nei confronti di tale situazione inizia ad affievolirsi, rischiando di compromettere l’approccio positivo con cui i varesini hanno sempre affrontato il tema povertà, aiutando le persone veramente in difficoltà le quali, provando vergogna per la loro situazione, spesso rimangono nell’ombra senza chiedere aiuto.





