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Il punto di Nicola Gervasini: ”C’era una volta la Musica. Per Ennio Morricone”

VARESE, 6 luglio 2020- di NICOLA GERVASINI-

Penso che non esista traguardo più grande per un musicista di quello di veder scritto in una qualsiasi recensione di un disco altrui “un brano alla… con il proprio nome accanto. Già, perché poi i “brani alla…” sono dei veri e propri generi musicali, legati ad un nome specifico, ma diventati punto di riferimento estetico e stilistico per chiunque.

E così se vi dico “un pezzo alla Ennio Morricone” non ho bisogno di passarvi anche un link di una delle sue colonne sonore perché voi abbiate già bene in mente di cosa si parla. I fischiettamenti, gli urletti (“ah-ee-ah-ee-ah” secondo un coccodrillo del Washington Post che è già entrato nella storia, ma aprirei un dibattito sulla correttezza dell’onomatopea), le armoniche piangenti, le campane che suonano nei deserti, e quelle chitarre suonate sui toni bassi o riverberate.

Insomma, il suono era questo a grandi linee, ma sappiamo benissimo che questo era solo il Morricone sentito nei film di Sergio Leone e in tanti altri spaghetti-western, perché chi ha studiato poi bene l’artista sa che quel sound, rielaborato dal mondo delle colonne sonore dei western classici americani, era solo una piccola fetta del suo immaginario sonoro. Che tornò buono per il grande cinema di azione o di sentimenti, così come per i tanti film “di cassetta” (per non dire di “serie B” o “popolari”, come li avrebbe definiti un critico cinematografico quarant’anni fa).

(foto da Repubblica.it)

La grandezza di Morricone stava nella sua cultura musicale, immensa, nata nel mondo delle orchestre Rai e della casa discografica RCA, dove musica classica, leggera, jazz, e il nuovo rock che veniva dall’estero, venivano passati al setaccio per dare in pasto al pubblico “generalista” orchestrazioni per spettacoli televisivi, fiction RAI o film. Musiche che rappresentano una delle più grandi e mai troppo valutate eredità culturali del secolo scorso. Morricone è stato dunque la punta di diamante di una schiera di autori come (dimenticandone tanti) Nino Rota, Pino Donaggio, Fabio Frizzi, financo ad arrivare agli Oliver Onions dei fratelli De Angelis che oggi risuonano nella musica di tanta musica indie italiana, e non parlo solo dei Calibro 35.

Abbiamo fatto grande cinema, e l’abbiamo musicato ancora meglio a volte.

E se Morricone è stato il migliore è stato proprio perché si è rivelato il più poliedrico, il più attento a tutto quello che succedeva nel mondo della musica.

Ha, come tutti gli autori di colonne sonore, “rubato” e preso a prestito dalla musica del momento, restituendo però sempre il maltolto in una veste migliore, a volte più elegante, a volte semplicemente completamente rivisitata alla sua maniera.

Sergio Leone

Riascoltatevi (anzi, rivedetevi) The Mission, il film di Roland Joffè con Robert De Niro del 1986, vi troverete tracce di tutto l’immaginario musicale del secolo scorso, impastate dalla sua inconfondibile mano. Molte delle musiche di Morricone vivono anche senza le immagini per cui sono nate, e sicuramente vale la pena anche farsi una sua discografia essenziale, ma alla fine il vero incontro che faremo con lui anche dopo la sua morte è sullo schermo, grande o piccolo che sia visti i tempi, perché la sua arte risplende al meglio in mezzo ai colori di quei registi che meglio hanno saputo apprezzarla e utilizzarla.

Per dirla come la canzone che gli U2 gli dedicarono apertamente nel 2009 (Magnificent), Addio Magnifico.

redazione@varese7press.it

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