Recensioni libri: “Il più grande criminale di Roma è stato mio amico” di Aurelio Picca (Bompiani editore)

0
2200

VARESE, 29 dicembre 2020-Alfredo Braschi vive da solo in un alberghetto che si chiama “Miralago”, sulle sponde del lago di Albano. Tutto è cambiato attorno a lui, i luoghi della sua giovinezza selvaggia ora sono una sequela di “ristoranti e stabilimenti che affittano canoe e un sacco di stronzate”.

I soldi in banca stanno per finire, Alfredo possiede soltanto una cassetta piena d’oro e gioielli che gli custodisce un amico a Ciampino e qualche pistola: una Beretta calibro 6,35 che apparteneva al padre, un revolver calibro 9 e soprattutto una calibro 22 di ottone da mattatoio, nella quale la detonazione della cartuccia fa scattare una molla che conficca un grosso chiodo nella testa di mucche e cavalli. La sua è stirpe di allevatori e macellai. È stato il suo inizio e sarà anche la sua fine, perché ha deciso tanto tempo fa che quando per lui verrà il tempo di morire, si ficcherà in testa un chiodo con quella enorme pistola, che porta sempre con sé.

Ripensa spesso con rimpianto ai Castelli Romani di una volta, all’atmosfera piena di elettricità animale che si respirava, alla sua giovinezza. Ricorda Catherine, arrivata dalla Costa Azzurra per visitare i parenti del padre italiano. Era il 1974. Lei sedici anni, lui diciassette, passavano ore a baciarsi nell’Alfa GT rossa fiammante di suo zio Francesco, che Alfredo guidava senza patente. Una sera – dopo aver fatto l’amore tutto il pomeriggio – vanno a cena al ristorante “Il Vecchio Fico”, a pochi chilometri da Grottaferrata. Al tavolo di fronte, una coppia. Alfredo tornando dal tavolo del buffet urta non volendo l’uomo, che si gira di scatto (“movimento agile, da peso welter”) con aria un po’ minacciosa ma accetta le scuse del ragazzo con un sorriso. Finita la cena, le due coppie si incrociano di nuovo nel parcheggio.

Alfredo nota che l’uomo è di bassa statura e zoppica, malgrado sia un tipo atletico e abbia qualcosa di feroce nell’atteggiamento. Accennando all’Alfa GT, il signore lo sfida “con gli occhi divertiti e gelidi” ad una gara di velocità fino a Grottaferrata. Lui ha una Daytona Ferrari viola. Alfredo, che prova per l’uomo una istintiva simpatia, accetta con entusiasmo. Senza aspettare un segnale, il ragazzo parte sgommando e raggiunge in pochissimo tempo il traguardo. Poco dopo arriva la Ferrari. L’uomo si sporge dal finestrino: “Mi piaci, non mi sono sbagliato. Sei veloce”. E sorridendo se ne va. Alfredo viene a sapere poi che quel signore si chiama Laudovino De Sanctis e fa il rapinatore… ( Autorizzati alla pubblicazione da www.mangialibri.com)