A Gaza si profila una catastrofe alimentare: rischio carestia classificata di grado 5

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Volontari di Azione contro la fame impegnati a Gaza

VARESE, 21 dicembre 2023- Azione contro la Fame esprime la sua più profonda preoccupazione per la dichiarazione di un altissimo rischio di carestia nel nord di Gaza e per le migliaia di sfollati nel sud della Striscia, una delle regioni più densamente popolate del mondo, dove metà della popolazione è costituita da bambini.

La dichiarazione è stata formalizzata dal sistema di Classificazione Integrata delle Fasi dell’insicurezza alimentare (IPC), formato da Nazioni Unite, governi e ONG, tra cui Azione contro la Fame, organizzazione umanitaria che opera a Gaza dal 2005.

La dichiarazione di oggi è, o dovrebbe essere, un punto di svolta, dato che finora ci sono state solo quattro dichiarazioni di carestia negli ultimi decenni: Sud Sudan (2017); Somalia (2011); Corea del Nord (1995) ed Etiopia (1984).

Nel caso di Gaza, oltre il 90% della popolazione è in Fase di crisi (3) o in condizioni peggiori. Infatti, più di 1,3 milioni di persone sono in Fase di emergenza o di catastrofe (rispettivamente 4 e 5). Almeno una famiglia su quattro sta affrontando condizioni di insicurezza alimentare acuta e catastrofica. Ciò significa che la mancanza di cibo è così grave da causare fame estrema, tassi allarmanti di malnutrizione acuta tra i bambini più piccoli e un significativo aumento della mortalità. Praticamente ogni famiglia di Gaza salta dei pasti ogni giorno e quattro famiglie su cinque nel nord e la metà delle famiglie sfollate nel sud, passano interi giorni e notti senza mangiare nulla.

Una situazione drammatica che potrebbe essere immediatamente capovolta consentendo un maggiore accesso umanitario a Gaza.

“La combinazione di bombardamenti incessanti, carenza di cibo, acqua e carburante e l’impossibilità delle agenzie umanitarie di operare a Gaza ha portato a questa situazione disperata. Le Nazioni Unite e le organizzazioni umanitarie hanno lanciato l’allarme per settimane sulla necessità di rimuovere le barriere all’ingresso degli aiuti umanitari a Gaza per evitare tutto questo”, afferma Chiara Saccardi, responsabile regionale di Azione contro la Fame per il Medio Oriente.

“Tutto quello che stiamo facendo è insufficiente per soddisfare i bisogni di due milioni di persone. È difficile trovare farina e riso e la gente deve aspettare ore per avere accesso alle latrine e potersi lavare. Stiamo vivendo un livello di complessità in questa emergenza che non ho mai visto prima”, aggiunge Noelia Monge, responsabile delle emergenze di Azione contro la Fame, appena tornata dalla zona.

“La nostra organizzazione – afferma Noelia Monge – può continuare a operare a Gaza, anche se in misura minima, perché lavoriamo lì da molti anni e conosciamo bene i fornitori, abbiamo una mappatura molto esaustiva di dove possiamo reperire le merci e un’elevata capacità di mobilitazione supportata da personale locale. Ma se i camion non riescono ad arrivare e non c’è carburante, la distribuzione di cibo e acqua diventa praticamente impossibile”. 

In questo momento l’accesso alle persone che hanno bisogno di aiuto è più critico che mai, ma dalla fine della breve pausa di sette giorni, il 1° dicembre, l’escalation degli attacchi, in particolare nel sud, ha costretto la maggior parte delle organizzazioni umanitarie a ridurre le proprie operazioni a un livello minimo, insignificante rispetto ai bisogni.

La fame non dovrebbe mai essere usata come arma di guerra. Quando le persone soffrono di carenze alimentari estreme possono non solo morire, ma andare incontro a forti dolori, squilibri elettrolitici, apatia, stanchezza, deterioramento fisico e psicologico, degrado dei tessuti e danni agli organi vitali.

Negli ultimi due mesi, Azione contro la Fame ha lavorato in condizioni estreme e pericolose per fornire acqua, servizi igienici e aiuti alimentari, ma la sicurezza e l’accesso umanitario sono stati fortemente limitati. Gli aiuti che arrivano a Gaza sono insufficienti, il mercato locale non è rifornito e non possiamo più raggiungere le aree del nord a causa dei combattimenti e della mancanza di trasporti. È una situazione disperata.

Azione contro la Fame apprezza lo sforzo compiuto dalla risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite che chiede un cessate il fuoco umanitario e il rilascio incondizionato degli ostaggi detenuti a Gaza. Tuttavia, non possiamo perdere di vista il fatto che questa risoluzione non è vincolante e rappresenta solo un piccolo passo verso un cessate il fuoco che, se attuato, sarebbe una misura salvavita per la popolazione civile di Gaza, sottoposta a continui bombardamenti e ora in condizioni di insicurezza alimentare catastrofiche.

Oltre alla mancanza di cibo e acqua, scarseggiano anche beni di prima necessità come pannolini, salviette e detersivi. “Le madri si occupano dei loro figli con la diarrea, a volte con sangue, senza acqua, senza salviette e senza pannolini. Le persone sono arrabbiate, depresse e disperate per la situazione in cui vivono. Hanno molta paura”, dice Saccardi.

Il sistema sanitario è collassato, gli attacchi agli ospedali hanno lasciato gran parte della popolazione di Gaza senza accesso alle cure e non ci sono più medicinali di base. È stata segnalata l’epatite A, e la diarrea e i pidocchi sono comuni tra la popolazione. In spazi sovraffollati e privi di infrastrutture idriche e igienico-sanitarie, questo è solo l’inizio di una crisi sanitaria pronta a esplodere.

Azione contro la Fame chiede ancora una volta un cessate il fuoco permanente, con la massima urgenza, se la comunità internazionale vuole evitare che le persone muoiano di fame e di malattie. I bambini, i malati e gli anziani sono i soggetti più a rischio. Dobbiamo agire ora. La cessazione del conflitto è un prerequisito per una risposta umanitaria significativa, oltre che per garantire l’accesso umanitario e poter fornire una risposta massiccia e multisettoriale il prima possibile.

Abbiamo superato la fase di allarme e ora siamo arrivati alla catastrofe.